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Irlanda

1° giorno ​​- il nostro aereo parte alle 21 da Malpensa. Con poco meno di 3 ore siamo all'Aeroporto di Dublino. Il volo lo abbiamo acquistato su internet con larghissimo anticipo e abbiamo pagato 97 € per andata e ritorno. Ci accorgiamo subito di essere in un paese anglosassone, le code sono ordinate e ogni pratica viene sbrigata in breve tempo.
Per andare all'ostello che abbiamo scelto, Jacob’s Inn, prendiamo il Bus Airlink 747, che ci porta a destinazione in una ventina di minuti e con 6 €. Il viaggio non è dei più semplici perché il primo contatto con le guida “al contrario” mi terrorizza e allo stesso tempo mi ricorda che tra tre giorni devo mettermi al volante di un’auto noleggiata.
L’ostello è molto grande, ha una zona per la colazione, una cucina attrezzata e una lavanderia. Al quarto e ultimo piano c’è un bel terrazzino per vedere dall’alto la città. Non riusciamo a girarlo tutto perché siamo troppo stanchi e il mattino dopo la sveglia è alle 7.30.
La reception è aperta 24 ore su 24 quindi veniamo subito accolti e facciamo il check inn. Dopo aver pagato per le quattro notti che staremo lì, 15 € a notte per le prime due e 17 € per le ultime, totale 64 € per quattro notti, andiamo a dormire.

2° giorno - alle 8 usciamo già per visitare la città.

 

TRINITY COLLEGE e DUBLIN CASTLE

La prima tappa è il Trinity College, che è la più antica università d’Irlanda, anche se ha collezionato numerosi risultati anche di recente. A lui si deve l’invenzione del codice ISBN e l’assegnazione della prima laurea in lettere moderne. Il complesso è circondato dal verde, che lo isola un po’ dai rumori della città. L’università ha proprio l’aria dei college inglesi che vediamo in molti film, mi aspettavo di vedere studenti in uniforme passeggiare da un edificio all’altro, ma siamo in dicembre e sono tutti in vacanza.
Purtroppo non possiamo vedere il Book of Kells perché la sezione nella quale si trova è chiusa per le vacanze di Natale. Proseguiamo allora per il Dublin Castle e poi per la Christchurch Cathedral. Entrambi li ammiriamo dall’esterno, ma non entriamo. Quando arriviamo davanti al Dublin Castle non siamo proprio sicuri di dove siamo, l’ingresso infatti è abbastanza anonimo e non ci sono cartelli esplicativi.

 

DISTILLERIA JAMESON
La nostra guida della città non risulta essere molto efficiente,  così il nostro giro a piedi si conclude nella piazza che ospita la distilleria Jameson. Sono solo le 11 e vorrei posticipare la visita al suo interno, almeno fino a dopo pranzo, ma non ho molta voce in capitolo, così entriamo. Paghiamo l’ingresso (13 € e 10 € per studenti) e aspettiamo il nostro turno d’ingresso. Il tour è solo in inglese, ma è giusto che ci ambientiamo.
Vediamo un breve filmato e poi inizia il giro vero e proprio per la distilleria. Le luci basse e le botti di Whiskey abbandonate accuratamente agli angoli delle vie, ci fanno sentire in un’altra epoca. Non riusciamo a seguire la guida senza perdere il filo del discorso, purtroppo l’inglese non è proprio la nostra madrelingua.
L’ultima tappa del tour è il meritato assaggio, prima un cocktail di Jameson e Cranberry e poi gli assaggi di Whiskey puro, di Scottish e di Jack Daniels.

 

GUINNES STOREHOUSE
Uscita dalla distilleria capisco ancora meno di prima la guida e mi lascio guidare più dall’istinto. Ci fermiamo finalmente a mangiare e poi di corsa alla fabbrica della Guinnes per non lasciarmi tregua. Il costo del biglietto è circa lo stesso di quello della distilleria Jameson.
Trovare la Storehouse non è un’impresa semplicissima e soprattutto non lo è trovare l’ingresso. L’odore di malto fortissimo ci fa intuire che siamo molto vicini, ma le buie stradine industriali non abbondano di cartelli. Entrati finalmente, notiamo con apprezzamento che sono presenti delle audioguide gratuite in italiano, così iniziamo il nostro giro. Il museo è strutturato come un grosso bicchiere di Guinnes e l’interno con le sue scale mobili ricorda vagamente la Rinascente. La prima parte ripercorre gli ingredienti della famosa birra. Assaggiamo il malto tostato e affondiamo le mani in un barile di chicchi.
Durante la degustazione sensoriale della Guinnes è divertente vedere le persone che, non capendo il senso di ciò che dice l’audioguida, si accostano il bicchiere di birra all’orecchio, mentre il rumore da ascoltare è quello degli spillatori.
La sezione che preferisco è quella delle pubblicità divise per anni dove tra bicchieri e gadget vari, si racconta anche la storia della più lunga campagna pubblicitaria di sempre, ovvero il lancio di centinaia di bottiglie di Guinnes contenenti dei messaggi, avvenuto nel 1954. Tra questi messaggi c’è anche un certificato rilasciato dall’ufficio del Re Nettuno, che non è mai stato ritrovato, alcune bottiglie invece sono giunte in Texas nelle coste americane, dentro queste c’è un piccolo opuscolo sulla storia del birrificio, un’etichetta speciale dorata e delle istruzioni per trasformare la bottiglia in una lampada, per chiunque volesse cimentarsi. Altre bottiglie contenevano articoli diversi, coma una pubblicità dell’Ovomaltina, che aveva sponsorizzato parte dell’iniziativa.
Arthur Guinnes costruì il suo primo stabilimento a Dublino, nel 1759 prendendo in affitto un terreno abbandonato alla cifra di 45 sterline l’anno per un contratto di 9000 anni. Il contratto è esposto nella hall della Storehouse.
Doveva essere molto affascinante visitare Dublino nel secolo scorso quando sul fiume Liffey navigavano costantemente grosse chiatte stracariche del prezioso nettare nero e nell’aria si riconosceva il profumo di Guinnes in lavorazione. A dire il vero qualcosa si sente ancora oggi nei pressi della Storehouse, ma credo non sia paragonabile a quello di un tempo.
In ultimo si sale fino a raggiungere il Gravity Bar dove ci viene offerta una pinta di Guinnes da gustarci con una splendida vista a 360° sulla città illuminata al crepuscolo. Nella semioscurità si riescono ancora a distinguere le principali costruzioni della città, anche grazie alle scritte sui vetri che guidano lo spettatore alla ricerca dei monumenti.

3° giorno - la giornata si preannuncia uggiosa e decidiamo di andare a vedere il Wax Museum per stare un po’ all’asciutto. La ricerca non è semplicissima poiché hanno recentemente spostato la sede e la metà delle persone a cui chiediamo ci indirizza alla sede nuova, mentre l’altra metà alla sede vecchia. La nostra guida neanche menziona il museo e la ricerca è estenuante.
Finalmente riusciamo a raggiungere il Wax, museo delle cere, e, fradici, entriamo. La prima sezione ripercorre la storia dell’Irlanda con i vari personaggi storici realmente esistiti o mitologici. La seconda sezione è quella dei giochi scientifici legati all’elettromagnetismo e al suono e l’ultima è quella dei personaggi moderni, cantanti e attori.
Per assurdo, la parte dove ci divertiamo di più è quella del piccolo museo della scienza, dove di statue di cera non ce n’è neanche una. Quando usciamo il tempo non è migliorato e dobbiamo trovare presto una nuova meta al coperto. Ci dirigiamo allora verso il St. Stephen’s Green Centre, non il parco quindi, ma il centro commerciale, che è una piacevole struttura di ferro e cristallo, quasi un’enorme serra. Sotto una pioggia battente facciamo una brevissima tappa da Molly Malone, la statua della venditrice ambulante di fine Settecento che i Dublinesi hanno soprannominato la sgualdrinetta con la carretta, probabilmente per la sua indole particolarmente disponibile.
Per sfuggire ai nuvoloni sempre più carichi, ci rintaniamo nel centro commerciale dove notiamo che la moda irlandese proprio non fa al caso nostro. Scarpe solo con plateau e tacco 15 che saranno anche bellissime ma la comodità è quasi un’utopia, vestiti cortissimi per taglie extralarge e stampe che noi definiremmo anni Ottanta.
Dopo esserci rifocillati, usciamo e ci accoglie un tiepido sole. Approfittiamo allora per fare un breve giretto del parco St. Stephen’s Green e poi decidiamo di finire la nostra serata con una pinta di birra all’Hard Rock Cafè.
Tornando in ostello per riposarci un pochino, passeggiamo tra le casette a schiera, tutte uguali ma con i portoni colorati diversamente, forse per distinguere casa propria quando si ritorna dopo aver fatto il pieno di Guinnes. Durante il nostro giro abbiamo anche potuto studiare le tattiche di attraversamento della strada a Dublino. Gli indigeni riescono a capire quando attraversare la strada o meno con il semaforo rosso. In dieci giorni non abbiamo capito come siano in grado di sviluppare questo arguto senso e per non apparire alternativi (o sprovveduti) ci uniamo al branco e passiamo anche noi quando il primo irlandese si muove.
La sera usciamo a mangiare qualcosa in un pub, sarà l’inizio di una lunga serie di zuppette del giorno che in Irlanda sanno fare divinamente. Dopo mangiato e doverosamente annaffiato con le corpose birre rosse locali, andiamo a vedere un veliero illuminato lungo il fiume Leffey ed alcune statue in commemorazione delle vittime della carestia del XIX secolo, a causa della quale moltissime famiglie morirono ed altrettante furono costrette all’emigrazione. Infine ammiriamo il ponte a forma di arpa, simbolo della città.
Una curiosità che abbiamo imparato alla fabbrica della Guinnes è che quest’azienda ha brevettato il marchio dell’arpa prima che lo facesse il comune di Dublino così quando passarono per vie legali per il riconoscimento del diritto ad utilizzare il logo, i birrai vinsero e la città fu costretta a girare la propria arpa verso destra, lasciando alla Guinnes il privilegio di averla voltata dalla parte opposta.

4° giorno - dopo una colazione irlandese a base di uova, bacon, fagioli, sanguinaccio, burro e wurstel, andiamo al Lepricaun Museum, incentrato sull’ipotetica esistenza dei folletti alla fine dell’arcobaleno. Il museo è molto moderno e gestito da ragazze molto simpatiche. Il tour è ovviamente in inglese, ma riusciamo a seguire quasi tutto tranne la parte in cui ci sediamo tutti per terra e lei ci racconta delle fiabe irlandesi, le luci soffuse per creare atmosfera non aiutano la nostra concentrazione.
Una delle sale è stata creata per far si che il visitatore si senta come un piccolo lepricauno e così è arredata con grosse sedie, un tavolo alto fino al soffitto, una poltrona sulla quale per salirci è necessario arrampicarsi, etc. Tutto molto carino.
Continuiamo la visita della città fino a sbucare nella piazza dell’obelisco, che non è altro che un altissimo pennacchione di ferro che buca le nuvole. Proprio di fronte c’è una grande libreria nella quale ci addentriamo alla ricerca di un libro da portarci a casa per proseguire il nostro studio della lingua inglese. Non saprei se solo in quel negozio o in tutte le librerie, i libri costano davvero poco e così con 5 € mi prendo “Il piccolo principe”, una raccolta di fiabe irlandesi e un libro sugli orchi con una copertina fantastica!
All’ora di cena nessuno ha fame, ma io mi lascio tentare dalla solita zuppetta del giorno, sempre ottima. Usciamo poi alla ricerca del luogo migliore per il capodanno. Il gregge di persone in giro ci conduce fino a Temple Bar, che è pieno di giovani e paffute irlandesi strizzate in microscopici vestitini che cavalcano le strade a bordo dei loro plateau. Non fa tantissimo freddo, ma l’aria è tagliente e non le invidio. Nella via ci sono moltissime feste private e Temple Bar, neanche a dirlo, è stracolmo tanto che non riusciamo nemmeno ad entrare.
Allo scoccare della mezzanotte ci godiamo l’esilarante scena di un ragazzo che per festeggiare scuote una bottiglia di spumante controvento ritrovandosi in breve bagnato fradicio.
Finiamo la serata all’Hard Rock che sembra stranamente vuoto. Verso le 3 chiude anche questo e noi decidiamo di tornare ai nostri letti perché domani ci attende la tanto agognata prova di guida.
 

1° giorno ​​- il nostro aereo parte alle 21 da Malpensa. Con poco meno di 3 ore siamo all'Aeroporto di Dublino. Il volo lo abbiamo acquistato su internet con larghissimo anticipo e abbiamo pagato 97 € per andata e ritorno. Ci accorgiamo subito di essere in un paese anglosassone, le code sono ordinate e ogni pratica viene sbrigata in breve tempo.
Per andare all'ostello che abbiamo scelto, Jacob’s Inn, prendiamo il Bus Airlink 747, che ci porta a destinazione in una ventina di minuti e con 6 €. Il viaggio non è dei più semplici perché il primo contatto con le guida “al contrario” mi terrorizza e allo stesso tempo mi ricorda che tra tre giorni devo mettermi al volante di un’auto noleggiata.
L’ostello è molto grande, ha una zona per la colazione, una cucina attrezzata e una lavanderia. Al quarto e ultimo piano c’è un bel terrazzino per vedere dall’alto la città. Non riusciamo a girarlo tutto perché siamo troppo stanchi e il mattino dopo la sveglia è alle 7.30.
La reception è aperta 24 ore su 24 quindi veniamo subito accolti e facciamo il check inn. Dopo aver pagato per le quattro notti che staremo lì, 15 € a notte per le prime due e 17 € per le ultime, totale 64 € per quattro notti, andiamo a dormire.

2° giorno - alle 8 usciamo già per visitare la città.

 

TRINITY COLLEGE e DUBLIN CASTLE

La prima tappa è il Trinity College, che è la più antica università d’Irlanda, anche se ha collezionato numerosi risultati anche di recente. A lui si deve l’invenzione del codice ISBN e l’assegnazione della prima laurea in lettere moderne. Il complesso è circondato dal verde, che lo isola un po’ dai rumori della città. L’università ha proprio l’aria dei college inglesi che vediamo in molti film, mi aspettavo di vedere studenti in uniforme passeggiare da un edificio all’altro, ma siamo in dicembre e sono tutti in vacanza.
Purtroppo non possiamo vedere il Book of Kells perché la sezione nella quale si trova è chiusa per le vacanze di Natale. Proseguiamo allora per il Dublin Castle e poi per la Christchurch Cathedral. Entrambi li ammiriamo dall’esterno, ma non entriamo. Quando arriviamo davanti al Dublin Castle non siamo proprio sicuri di dove siamo, l’ingresso infatti è abbastanza anonimo e non ci sono cartelli esplicativi.

 

DISTILLERIA JAMESON
La nostra guida della città non risulta essere molto efficiente,  così il nostro giro a piedi si conclude nella piazza che ospita la distilleria Jameson. Sono solo le 11 e vorrei posticipare la visita al suo interno, almeno fino a dopo pranzo, ma non ho molta voce in capitolo, così entriamo. Paghiamo l’ingresso (13 € e 10 € per studenti) e aspettiamo il nostro turno d’ingresso. Il tour è solo in inglese, ma è giusto che ci ambientiamo.
Vediamo un breve filmato e poi inizia il giro vero e proprio per la distilleria. Le luci basse e le botti di Whiskey abbandonate accuratamente agli angoli delle vie, ci fanno sentire in un’altra epoca. Non riusciamo a seguire la guida senza perdere il filo del discorso, purtroppo l’inglese non è proprio la nostra madrelingua.
L’ultima tappa del tour è il meritato assaggio, prima un cocktail di Jameson e Cranberry e poi gli assaggi di Whiskey puro, di Scottish e di Jack Daniels.

 

GUINNES STOREHOUSE
Uscita dalla distilleria capisco ancora meno di prima la guida e mi lascio guidare più dall’istinto. Ci fermiamo finalmente a mangiare e poi di corsa alla fabbrica della Guinnes per non lasciarmi tregua. Il costo del biglietto è circa lo stesso di quello della distilleria Jameson.
Trovare la Storehouse non è un’impresa semplicissima e soprattutto non lo è trovare l’ingresso. L’odore di malto fortissimo ci fa intuire che siamo molto vicini, ma le buie stradine industriali non abbondano di cartelli. Entrati finalmente, notiamo con apprezzamento che sono presenti delle audioguide gratuite in italiano, così iniziamo il nostro giro. Il museo è strutturato come un grosso bicchiere di Guinnes e l’interno con le sue scale mobili ricorda vagamente la Rinascente. La prima parte ripercorre gli ingredienti della famosa birra. Assaggiamo il malto tostato e affondiamo le mani in un barile di chicchi.
Durante la degustazione sensoriale della Guinnes è divertente vedere le persone che, non capendo il senso di ciò che dice l’audioguida, si accostano il bicchiere di birra all’orecchio, mentre il rumore da ascoltare è quello degli spillatori.
La sezione che preferisco è quella delle pubblicità divise per anni dove tra bicchieri e gadget vari, si racconta anche la storia della più lunga campagna pubblicitaria di sempre, ovvero il lancio di centinaia di bottiglie di Guinnes contenenti dei messaggi, avvenuto nel 1954. Tra questi messaggi c’è anche un certificato rilasciato dall’ufficio del Re Nettuno, che non è mai stato ritrovato, alcune bottiglie invece sono giunte in Texas nelle coste americane, dentro queste c’è un piccolo opuscolo sulla storia del birrificio, un’etichetta speciale dorata e delle istruzioni per trasformare la bottiglia in una lampada, per chiunque volesse cimentarsi. Altre bottiglie contenevano articoli diversi, coma una pubblicità dell’Ovomaltina, che aveva sponsorizzato parte dell’iniziativa.
Arthur Guinnes costruì il suo primo stabilimento a Dublino, nel 1759 prendendo in affitto un terreno abbandonato alla cifra di 45 sterline l’anno per un contratto di 9000 anni. Il contratto è esposto nella hall della Storehouse.
Doveva essere molto affascinante visitare Dublino nel secolo scorso quando sul fiume Liffey navigavano costantemente grosse chiatte stracariche del prezioso nettare nero e nell’aria si riconosceva il profumo di Guinnes in lavorazione. A dire il vero qualcosa si sente ancora oggi nei pressi della Storehouse, ma credo non sia paragonabile a quello di un tempo.
In ultimo si sale fino a raggiungere il Gravity Bar dove ci viene offerta una pinta di Guinnes da gustarci con una splendida vista a 360° sulla città illuminata al crepuscolo. Nella semioscurità si riescono ancora a distinguere le principali costruzioni della città, anche grazie alle scritte sui vetri che guidano lo spettatore alla ricerca dei monumenti.

3° giorno - la giornata si preannuncia uggiosa e decidiamo di andare a vedere il Wax Museum per stare un po’ all’asciutto. La ricerca non è semplicissima poiché hanno recentemente spostato la sede e la metà delle persone a cui chiediamo ci indirizza alla sede nuova, mentre l’altra metà alla sede vecchia. La nostra guida neanche menziona il museo e la ricerca è estenuante.
Finalmente riusciamo a raggiungere il Wax, museo delle cere, e, fradici, entriamo. La prima sezione ripercorre la storia dell’Irlanda con i vari personaggi storici realmente esistiti o mitologici. La seconda sezione è quella dei giochi scientifici legati all’elettromagnetismo e al suono e l’ultima è quella dei personaggi moderni, cantanti e attori.
Per assurdo, la parte dove ci divertiamo di più è quella del piccolo museo della scienza, dove di statue di cera non ce n’è neanche una. Quando usciamo il tempo non è migliorato e dobbiamo trovare presto una nuova meta al coperto. Ci dirigiamo allora verso il St. Stephen’s Green Centre, non il parco quindi, ma il centro commerciale, che è una piacevole struttura di ferro e cristallo, quasi un’enorme serra. Sotto una pioggia battente facciamo una brevissima tappa da Molly Malone, la statua della venditrice ambulante di fine Settecento che i Dublinesi hanno soprannominato la sgualdrinetta con la carretta, probabilmente per la sua indole particolarmente disponibile.
Per sfuggire ai nuvoloni sempre più carichi, ci rintaniamo nel centro commerciale dove notiamo che la moda irlandese proprio non fa al caso nostro. Scarpe solo con plateau e tacco 15 che saranno anche bellissime ma la comodità è quasi un’utopia, vestiti cortissimi per taglie extralarge e stampe che noi definiremmo anni Ottanta.
Dopo esserci rifocillati, usciamo e ci accoglie un tiepido sole. Approfittiamo allora per fare un breve giretto del parco St. Stephen’s Green e poi decidiamo di finire la nostra serata con una pinta di birra all’Hard Rock Cafè.
Tornando in ostello per riposarci un pochino, passeggiamo tra le casette a schiera, tutte uguali ma con i portoni colorati diversamente, forse per distinguere casa propria quando si ritorna dopo aver fatto il pieno di Guinnes. Durante il nostro giro abbiamo anche potuto studiare le tattiche di attraversamento della strada a Dublino. Gli indigeni riescono a capire quando attraversare la strada o meno con il semaforo rosso. In dieci giorni non abbiamo capito come siano in grado di sviluppare questo arguto senso e per non apparire alternativi (o sprovveduti) ci uniamo al branco e passiamo anche noi quando il primo irlandese si muove.
La sera usciamo a mangiare qualcosa in un pub, sarà l’inizio di una lunga serie di zuppette del giorno che in Irlanda sanno fare divinamente. Dopo mangiato e doverosamente annaffiato con le corpose birre rosse locali, andiamo a vedere un veliero illuminato lungo il fiume Leffey ed alcune statue in commemorazione delle vittime della carestia del XIX secolo, a causa della quale moltissime famiglie morirono ed altrettante furono costrette all’emigrazione. Infine ammiriamo il ponte a forma di arpa, simbolo della città.
Una curiosità che abbiamo imparato alla fabbrica della Guinnes è che quest’azienda ha brevettato il marchio dell’arpa prima che lo facesse il comune di Dublino così quando passarono per vie legali per il riconoscimento del diritto ad utilizzare il logo, i birrai vinsero e la città fu costretta a girare la propria arpa verso destra, lasciando alla Guinnes il privilegio di averla voltata dalla parte opposta.

4° giorno - dopo una colazione irlandese a base di uova, bacon, fagioli, sanguinaccio, burro e wurstel, andiamo al Lepricaun Museum, incentrato sull’ipotetica esistenza dei folletti alla fine dell’arcobaleno. Il museo è molto moderno e gestito da ragazze molto simpatiche. Il tour è ovviamente in inglese, ma riusciamo a seguire quasi tutto tranne la parte in cui ci sediamo tutti per terra e lei ci racconta delle fiabe irlandesi, le luci soffuse per creare atmosfera non aiutano la nostra concentrazione.
Una delle sale è stata creata per far si che il visitatore si senta come un piccolo lepricauno e così è arredata con grosse sedie, un tavolo alto fino al soffitto, una poltrona sulla quale per salirci è necessario arrampicarsi, etc. Tutto molto carino.
Continuiamo la visita della città fino a sbucare nella piazza dell’obelisco, che non è altro che un altissimo pennacchione di ferro che buca le nuvole. Proprio di fronte c’è una grande libreria nella quale ci addentriamo alla ricerca di un libro da portarci a casa per proseguire il nostro studio della lingua inglese. Non saprei se solo in quel negozio o in tutte le librerie, i libri costano davvero poco e così con 5 € mi prendo “Il piccolo principe”, una raccolta di fiabe irlandesi e un libro sugli orchi con una copertina fantastica!
All’ora di cena nessuno ha fame, ma io mi lascio tentare dalla solita zuppetta del giorno, sempre ottima. Usciamo poi alla ricerca del luogo migliore per il capodanno. Il gregge di persone in giro ci conduce fino a Temple Bar, che è pieno di giovani e paffute irlandesi strizzate in microscopici vestitini che cavalcano le strade a bordo dei loro plateau. Non fa tantissimo freddo, ma l’aria è tagliente e non le invidio. Nella via ci sono moltissime feste private e Temple Bar, neanche a dirlo, è stracolmo tanto che non riusciamo nemmeno ad entrare.
Allo scoccare della mezzanotte ci godiamo l’esilarante scena di un ragazzo che per festeggiare scuote una bottiglia di spumante controvento ritrovandosi in breve bagnato fradicio.
Finiamo la serata all’Hard Rock che sembra stranamente vuoto. Verso le 3 chiude anche questo e noi decidiamo di tornare ai nostri letti perché domani ci attende la tanto agognata prova di guida.

5° giorno - l’anno nuovo inizia con la nostra più grande avventura irlandese: la guida “al contrario”.
Verso le 11 siamo all’aeroporto presso l’ufficio dell’Avis, compagnia con la quale abbiamo noleggiato le nostre due Opel Corsa. Brevemente sbrighiamo le pratiche e lasciamo gli estremi della nostra carta di credito. Saliamo in macchina e ancora non mi è salito il panico che mi aspettavo. Faccio qualche giro del parcheggio per prendere un po’ confidenza con il mezzo e poi mi immergo nel traffico dell’aeroporto.
L’auto ci è costata 80 €, ovviamente escluso il carburante, ma per tutto il giro abbiamo fatto circa due pieni.
Certo, per i primi chilometri ho avuto questa sensazione di paralisi della parte sinistra che di solito uso per cambiare e adesso doveva solo tenere il volante, però devo dire che guido perfettamente. Sì qualche marcia l’ho sbagliata e prendere l’uscita, dalla parte giusta dello spartitraffico, mentre sono concentrata a fare una rotonda in senso orario non è stato proprio immediato, ma comunque oltre le mie più rosee aspettative.

 

KILKENNY
La prima tappa è stata Kilkenny. Non avevamo navigatore e i cartelli in gaelico un po’ ci hanno spiazzato, ma usciti dal raccordo anulare di Dublino (che è a pagamento, 3 €, e si deve pagare in qualsiasi autogrill sulla strada pena multa recapitata direttamente in Italia) il paesaggio si tinge di verde e le case talmente rare che è difficile non trovare l’unico paese un po’ grande nella giusta direzione.
L’ostello di oggi è una vecchia casa tipicamente anglosassone con la scala centrale in legno e stretti corridoi. Il costo per la notte è di 12 €. Ad accoglierci non c’è nessuno, ma poi spunta da una porta un giovane irlandese con una bottiglia di whiskey in mano che comincia a parlare un masticatissimo inglese spiegandoci che ha avuto una serata pesante per capodanno e che deve ancora riprendersi.
Lasciato i bagagli in camera, approfittiamo del cielo azzurrissimo e ci dirigiamo verso il centro del paese. Kilkenny è ad altissima concentrazione di chiese e cominciamo il nostro tour religioso. La prima ha un altissimo campanile spoglio, è molto bella esternamente ma non si può entrare dentro. Tutt’intorno poi c’è un cimitero gotico, come quelli che si vedono nei film ambientati nella campagna inglese.
Leggiamo un po’ la guida turistica per vedere quale sarà la nostra prossima tappa e nel giro di pochissimi istanti il cielo si copre e inizia a piovere abbondantemente. Nel paese delle chiese non potevamo fare altro che correre verso la cattedrale, sperando che fosse aperta e che potesse offrirci asilo.
Così infatti era e abbiamo potuto asciugarci un po’ ammirando la splendida architettura gotica delle sue navate.
Usciamo che c’è il sole e il primo arcobaleno del nostro viaggio. Proseguiamo verso un’altra chiesta, la vera cattedrale di Kilkenny, quella di prima era probabilmente solo una delle tante chiese, solo un po’ più grosse delle altre. La cattedrale comunque è chiusa e non si può entrare. Continuiamo il nostro pellegrinaggio, nuovamente sotto l’acqua, e arriviamo ad un’altra chiesa che esternamente avrebbe potuto avere l’età delle altre, ma internamente era molto più moderna. Bellissima e con lo stesso stile, ho faticato a capire che era nuova tutta e non solo il tetto o le vetrate. Menzione a parte la meritano proprio le vetrate, coloratissime che si riflettevano sui massicci muri della struttura, mi hanno fatto davvero un bell’effetto.
Molte altre chiese restano da vedere, ma per oggi decidiamo che è sufficiente e andiamo verso il castello, mentre, ormai quasi al tramonto, il sole esce di nuovo. Di sicuro oggi abbiamo visto la celebre Black Abbey, ma non siamo riusciti a distinguerla.
Infreddoliti e bagnati ci rifugiamo in una teeria per poi cercare un posto dove cenare. Tutto è chiuso e decidiamo che un buon piatto di spaghetti sarà la nostra cena. Arrivati in ostello troviamo il proprietario ancora attaccato alla sua bottiglia che ci prega di cucinargli qualcosa perché ha fame. Un piatto un più o in meno non ci fa la differenza e così mangiamo tutti insieme. Lui non sembra gustare la nostra cucina però, perché alla pasta aggiunge abbondanti dosi di ceddar e di bacon.

6° giorno - il mattino andiamo a vedere il castello di Kilkenny. Anziché il biglietto semplice decidiamo di fare la Heritage Card che al costo di 8 €per gli studenti e 21 per gli adulti, che ci darà accesso a molti luoghi e attrazioni d’Irlanda. La visita si effettua solo con la guida, ovviamente in inglese, ma la ragazza cerca di parlare il più piano possibile, in modo che tutti capiscano. Il castello è stato per quasi 600 anni residenza dei Butler finché nel 1969, l’ultimo erede, non decise di venderlo al popolo di Kilkenny per la cifra simbolica di 50 sterline.
La stanza più bella è il salotto inglese con la tappezzeria gialla, ma senz’altro quella più particolare è la galleria di quadri che occupa tutta l’ala a destra del castello e che ha il tetto in vetro per poter avere più luce sulle opere, ma non diretta per non rovinarle.

 

ROCK OF CASHEL
Non appena finito il tour torniamo a prendere le auto per andare alla Rock of Cashel, che dista 65 km da Kilkenny. La strada che percorriamo è bellissima e tipica dell’Irlanda. Prati verdissimi, cottage con il tetto di paglia e pecore al pascolo. La rocca è uno dei più famosi monumenti del Paese benché sia stato abbandonato del Diciottesimo Secolo, adesso è completamente in rovina, ma conserva ancora il suo fascino anche grazie al paesaggio circostante.
Proseguiamo per Cork. L’ostello nel quale abbiamo prenotato è il Sheila’s che non è per niente in centro al paese e per aggiungerlo bisogna passare in intricate stradine strette e molto in salita, il tutto coronato da una pioggia scrosciante e dal buio. L’ostello è poco segnalato e trovarlo è stata un’impresa.
Alla reception subito paghiamo la notte, 15 € senza colazione, e poi andiamo nella nostra camera, bè chiamarla camera è un complimento, un lungo corridoio con un bagnetto minuscolo. L’ostello è decisamente il peggiore che abbiamo girato. La cucina era sporchissima e le lenzuola non erano state cambiate. Io mi adatto a tutto, ma non penso che consiglierò questo ostello al mio ritorno.

7° giorno - prestissimo scappiamo dal Sheila’s e andiamo a vedere la città di Cork.

 

CORK e BLARNEY CASTLE

La prima nostra visita è alla Chiesa di Sant’Anna, che ospitano le famose Campane di Shannon che chiunque può suonare dopo una piccola offerta. È possibile comporne una o copiarla dal compendio, comunque ovviamente lo troviamo chiuso. Ci dirigiamo allora nel centro città e veniamo abbagliati dall’immagine di cappuccini italiani che promette l’insegna di un bar. Paghiamo 3 € un cappuccino, ma li merita davvero tutti. Finalmente all’estero qualcuno che sa fare un buon cappuccino. È stata la colazione migliore della vacanza.
Vaghiamo per la città senza una meta precisa e vediamo la cattedrale di San Finbarr ed il caratteristi English Market, ma il mio fidanzato ha occhi solo per il Birrificio Beamish and Crowford’s.
Appena terminato il nostro piccolo giretto della città, ci spostiamo alla volta del Blarney Castel, nella contea di Cork, ad una decina di chilometri da Cork. Il costo del biglietto è di 10-12 €. Entriamo nel parco sotto una leggera pioggerellina e, appena imbuchiamo il sentiero che porta al castello, il cielo si apre in un acquazzone. Ci rifugiamo sotto un grosso albero e mentre stiamo leggendo la guida per portarci avanti, piano piano le gocce smettono di scendere.
Ormai non mi stupisco più. Andiamo diretti verso la villa, che è rimasta di proprietà privata, mentre il castello è aperto al pubblico. Nei pochi minuti di cammino che ci separano dalla villa, il cielo si sgombra di nuvole completamente e il sole splende. Osserviamo il maniero specchiarsi nelle pozzanghere, ormai assolate. La tenuta è curatissima, perfetta.
Finalmente andiamo al castello passando per il giardino delle pozioni. L’attività immancabile per i turisti che accorrono al Blarney è baciare una pietra posta dopo le vecchie prigioni, a testa in giù e a quasi trenta metri di altezza. Avevamo letto che la fila per questo famoso bacio poteva essere infinita, ma noi non abbiamo trovato nessuno davanti a noi. E ammetto che questo mi ha un po’ spiazzata. Leggere di ciò che avrei dovuto fare era divertente, ma farlo realmente è stata tutta un’altra cosa. Pare che la pietra sia arrivata in Irlanda dalla Terra Santa grazie ai crociati che già la ritenevano una leggenda. Il dono che il bacio della pietra può dare è quello dell’eloquenza.
Un po’ sconvolti e frastornati dall’impresa, passeggiamo per il boschetto ai piedi del castello. Leggendo la guida sembrava che ognuna delle pietre fosse il rifugio di qualche creatura magica ed ogni roccia l’altare di qualche strega. La lettura della guida è stata interessante e ci ha consigliato qualche altra piccola impresa da eseguire per guadagnarci i più disparati doni. In compagnia il percorso è stato divertente, ma in generale possiamo dire che il bosco non è altro che qualche albero e un po’ di muschio, ma venduto decisamente bene.
Sono solo le tre quando usciamo e, dopo aver assaggiato la zuppetta locale, decidiamo di dirigerci verso l’oceano, più precisamente verso Charles Fort. Questo dista circa 40 km dal Blarney, vicino alla città di Kinsale, si tratta di un fortino di modeste dimensioni, a forma di stella eretto dagli inglesi per proteggersi dagli attacchi marini di francesi e spagnoli e che ormai i verdi prati hanno inglobato. La visita, compreso lo spettacolo del tramonto nell’oceano, è stata una delle più belle di tutto il viaggio. L’ingresso non è costato grazie alla Heritage Card, ma sarebbe stato comunque di pochi euro.
La notte dormiamo a Dingle, nell’ostello Dingle Gate Hostel. Anche questa è stata un’esperienza che non dimenticheremo. L’alloggio era solo in mezzo ai boschi, noi eravamo gli unici ospiti e il proprietario dormiva in un’altra casa. Ci ha acceso il caminetto, lasciato qualche birra e poi se n’è andato. Noi siamo stati in salotto a fantasticare notti alla “Shaining” e a giocare accanto al fuoco. Fuori pioveva e le persiane sbattevano in continuazione. Certo il fatto di aver visto quel luogo solo con il buoi ha contribuito nell’immaginario collettivo, però faceva venire i brividi ad ogni rumore.
Nessuno ci ha uccisi nella notte comunque ed il mattino dopo siamo ripartiti.

8° giorno - la prima tappa di oggi è il villaggetto di Adare che con i suoi cottage con il tetto di paglia, trasuda atmosfera da tutti i pori.

 

ADARE
Delizioso, ma chiamarlo villaggio è decisamente esagerato perché non è altro che un agglomerato di casette su una via lunga qualche centinaia di metri. Un po’ più distante c’è il castello, che doveva essere molto bello ma che nella bassa stagione rimane chiuso, e poi prati per il raggio di qualche chilometro.

 

BUNRATTY CASTLE

È ancora mattina quando ci spostiamo verso il castello di Bunratty, nella contea di Clare, la nostra vera meta. Pare sia la meta irlandese più frequentata dai turisti e ci era stata consigliata da moltissime persone.
Il costo del biglietto è di 15 € e non vale la Card, si entra da un lato del parco e siccome diluvia, corriamo subito verso il castello. Si possono visitare diverse stanze liberamente, senza guida. È una costruzione normanna, squadrata e massiccia, costruita sulle sponde del Ratty.
La particolarità di questo sito è che all’interno del parco è stato ricostruito un villaggio del XIX secolo con cottage, strade, negozi, il mulino e persino lo studio dentistico. Forse non l’abbiamo visto con una bella giornata, ma mi è sembrato tutto un po’ kitch e senza dubbio non è la miglior meta del Paese.
Usciti dal parco siamo andati al Dirty Nelly lì vicino ad assaggiare la zuppa di pesce, la migliore.

 

DOOLIN
La sera siamo andati nel Rainbow Hostel a Doolin, diretto da una signora di mezz’età. Le camere erano bellissime, colorate ed accoglienti. C’era un salotto comune con una stufa a legna e un po’ di riviste.
Essendo Doolin la capitale del folk irlandese, è superfluo dire che la sera siamo andati in un pub. Ordinando il primo Irish Coffe della vacanza, abbiamo ascoltato la musica di due piccoli ometti seduti a un tavolo che, tra un sorso di Guinnes e l’altro, davano voce al loro violino e alla loro fisarmonica. Sembravano clienti qualsiasi, è stato molto caratteristico.

9° giorno - la costa ovest dell’Irlanda è famosa per le sue scogliere, chiamate Cliffs Of Moher, che scendono a strapiombo nell’oceano.

 

CLIFFS OF MOHER

Nelle giornate di vento, possiamo dire di avere avuto la fortuna di beccare la giornata giusta, il mare sale dai crepacci nella roccia e forma una serie di cascate “al contrario”, dal basso verso l’altro. Anche se all’inizio ero un po’ scettica, meritano senz’altro una visita perché il paesaggio è unico al mondo.

 

GALWAY
Dopo questa parentesi naturale, torniamo alla ricerca di una città, che sarà l’ultima che vedremo, ovvero Galway. Non è particolarmente degna di nota. Interessante il museo al quale sia accede con la Heritage Card, specialmente per la sua vista sul River Corrib (uno dei fiumi più corti d’Europa) che noi abbiamo goduto nel momento esatto del tramonto. Qualche chiesa ancora, ma soprattutto un po’ di meritato shopping.
In questa città sono moltissime le chiese moderne sullo stile gotico e si fa davvero fatica a capire dove finisce l’antico e dove inizia il moderno. È una concezione diversa dalla nostra che tendiamo ad esasperare la distanza tra ciò che viene costruito in un’epoca e ciò che viene fatto in un’altra.
La sera abbiamo cenato in un ristorante e ci siamo trovati benissimo come al solito. Prima di tornare al nostra ostello, senza loda e senza infamia, Woodquay Hostel, ci siamo fermati al pub sotto casa per una bella partita di briscola chiamata all’italiana. I parcheggi per l’auto, contrariamente al resto del Paese, qui sono carissimi, ma fortunatamente la proprietaria dell’ostello ci ha permesso di metterla nel suo parcheggio a un paio di chilometri a piedi.

10° giorno - ultimissimo sito da vedere prima di tornare a Dublino è Clonmacnoise.

 

CLONMACNOISE

Un antico sito monastico eretto sul crocevia delle più importanti strade dell’epoca, nonché sulle rive del fiume Shannon. Adesso è un insieme di piccole cappelle, chiese, campanili, torri e croci, quasi senza un ordine.
Il giro è breve e ci godiamo un po’ la vista dei prati verdi, che certamente in Italia non troveremo.
Torniamo in aeroporto con largo anticipo perché non abbiamo capito bene dove è necessario riconsegnare la vettura. Dopo un po’ di giri a vuoto, capiamo dov’è il parcheggio e posteggiamo. Gli addetti vengono a controllare l’auto e ci restituiscono la ricevuta di pagamento. Della tassa da pagare per autisti inferiori ai 25 anni non se ne parla e io tantomeno lo ricordo, così abbiamo risparmiato 90 €.
Facciamo gli ultimi acquisti al duty free, prima fra tutti una bottiglia di Jameson’s Whisky, poi saliamo sull’aereo e guardiamo dall’alto la distesa verde che stiamo lasciando.

La vacanza ci è costata poco meno di 350 € a testa compreso di volo, auto, ostelli, pasti ed innumerevoli souvenirs.

 

1° giorno ​​- il nostro aereo parte alle 21 da Malpensa. Con poco meno di 3 ore siamo all'Aeroporto di Dublino. Il volo lo abbiamo acquistato su internet con larghissimo anticipo e abbiamo pagato 97 € per andata e ritorno. Ci accorgiamo subito di essere in un paese anglosassone, le code sono ordinate e ogni pratica viene sbrigata in breve tempo.
Per andare all'ostello che abbiamo scelto, Jacob’s Inn, prendiamo il Bus Airlink 747, che ci porta a destinazione in una ventina di minuti e con 6 €. Il viaggio non è dei più semplici perché il primo contatto con le guida “al contrario” mi terrorizza e allo stesso tempo mi ricorda che tra tre giorni devo mettermi al volante di un’auto noleggiata.
L’ostello è molto grande, ha una zona per la colazione, una cucina attrezzata e una lavanderia. Al quarto e ultimo piano c’è un bel terrazzino per vedere dall’alto la città. Non riusciamo a girarlo tutto perché siamo troppo stanchi e il mattino dopo la sveglia è alle 7.30.
La reception è aperta 24 ore su 24 quindi veniamo subito accolti e facciamo il check inn. Dopo aver pagato per le quattro notti che staremo lì, 15 € a notte per le prime due e 17 € per le ultime, totale 64 € per quattro notti, andiamo a dormire.

2° giorno - alle 8 usciamo già per visitare la città.

 

TRINITY COLLEGE e DUBLIN CASTLE

La prima tappa è il Trinity College, che è la più antica università d’Irlanda, anche se ha collezionato numerosi risultati anche di recente. A lui si deve l’invenzione del codice ISBN e l’assegnazione della prima laurea in lettere moderne. Il complesso è circondato dal verde, che lo isola un po’ dai rumori della città. L’università ha proprio l’aria dei college inglesi che vediamo in molti film, mi aspettavo di vedere studenti in uniforme passeggiare da un edificio all’altro, ma siamo in dicembre e sono tutti in vacanza.
Purtroppo non possiamo vedere il Book of Kells perché la sezione nella quale si trova è chiusa per le vacanze di Natale. Proseguiamo allora per il Dublin Castle e poi per la Christchurch Cathedral. Entrambi li ammiriamo dall’esterno, ma non entriamo. Quando arriviamo davanti al Dublin Castle non siamo proprio sicuri di dove siamo, l’ingresso infatti è abbastanza anonimo e non ci sono cartelli esplicativi.

 

DISTILLERIA JAMESON
La nostra guida della città non risulta essere molto efficiente,  così il nostro giro a piedi si conclude nella piazza che ospita la distilleria Jameson. Sono solo le 11 e vorrei posticipare la visita al suo interno, almeno fino a dopo pranzo, ma non ho molta voce in capitolo, così entriamo. Paghiamo l’ingresso (13 € e 10 € per studenti) e aspettiamo il nostro turno d’ingresso. Il tour è solo in inglese, ma è giusto che ci ambientiamo.
Vediamo un breve filmato e poi inizia il giro vero e proprio per la distilleria. Le luci basse e le botti di Whiskey abbandonate accuratamente agli angoli delle vie, ci fanno sentire in un’altra epoca. Non riusciamo a seguire la guida senza perdere il filo del discorso, purtroppo l’inglese non è proprio la nostra madrelingua.
L’ultima tappa del tour è il meritato assaggio, prima un cocktail di Jameson e Cranberry e poi gli assaggi di Whiskey puro, di Scottish e di Jack Daniels.

 

GUINNES STOREHOUSE
Uscita dalla distilleria capisco ancora meno di prima la guida e mi lascio guidare più dall’istinto. Ci fermiamo finalmente a mangiare e poi di corsa alla fabbrica della Guinnes per non lasciarmi tregua. Il costo del biglietto è circa lo stesso di quello della distilleria Jameson.
Trovare la Storehouse non è un’impresa semplicissima e soprattutto non lo è trovare l’ingresso. L’odore di malto fortissimo ci fa intuire che siamo molto vicini, ma le buie stradine industriali non abbondano di cartelli. Entrati finalmente, notiamo con apprezzamento che sono presenti delle audioguide gratuite in italiano, così iniziamo il nostro giro. Il museo è strutturato come un grosso bicchiere di Guinnes e l’interno con le sue scale mobili ricorda vagamente la Rinascente. La prima parte ripercorre gli ingredienti della famosa birra. Assaggiamo il malto tostato e affondiamo le mani in un barile di chicchi.
Durante la degustazione sensoriale della Guinnes è divertente vedere le persone che, non capendo il senso di ciò che dice l’audioguida, si accostano il bicchiere di birra all’orecchio, mentre il rumore da ascoltare è quello degli spillatori.
La sezione che preferisco è quella delle pubblicità divise per anni dove tra bicchieri e gadget vari, si racconta anche la storia della più lunga campagna pubblicitaria di sempre, ovvero il lancio di centinaia di bottiglie di Guinnes contenenti dei messaggi, avvenuto nel 1954. Tra questi messaggi c’è anche un certificato rilasciato dall’ufficio del Re Nettuno, che non è mai stato ritrovato, alcune bottiglie invece sono giunte in Texas nelle coste americane, dentro queste c’è un piccolo opuscolo sulla storia del birrificio, un’etichetta speciale dorata e delle istruzioni per trasformare la bottiglia in una lampada, per chiunque volesse cimentarsi. Altre bottiglie contenevano articoli diversi, coma una pubblicità dell’Ovomaltina, che aveva sponsorizzato parte dell’iniziativa.
Arthur Guinnes costruì il suo primo stabilimento a Dublino, nel 1759 prendendo in affitto un terreno abbandonato alla cifra di 45 sterline l’anno per un contratto di 9000 anni. Il contratto è esposto nella hall della Storehouse.
Doveva essere molto affascinante visitare Dublino nel secolo scorso quando sul fiume Liffey navigavano costantemente grosse chiatte stracariche del prezioso nettare nero e nell’aria si riconosceva il profumo di Guinnes in lavorazione. A dire il vero qualcosa si sente ancora oggi nei pressi della Storehouse, ma credo non sia paragonabile a quello di un tempo.
In ultimo si sale fino a raggiungere il Gravity Bar dove ci viene offerta una pinta di Guinnes da gustarci con una splendida vista a 360° sulla città illuminata al crepuscolo. Nella semioscurità si riescono ancora a distinguere le principali costruzioni della città, anche grazie alle scritte sui vetri che guidano lo spettatore alla ricerca dei monumenti.

3° giorno - la giornata si preannuncia uggiosa e decidiamo di andare a vedere il Wax Museum per stare un po’ all’asciutto. La ricerca non è semplicissima poiché hanno recentemente spostato la sede e la metà delle persone a cui chiediamo ci indirizza alla sede nuova, mentre l’altra metà alla sede vecchia. La nostra guida neanche menziona il museo e la ricerca è estenuante.
Finalmente riusciamo a raggiungere il Wax, museo delle cere, e, fradici, entriamo. La prima sezione ripercorre la storia dell’Irlanda con i vari personaggi storici realmente esistiti o mitologici. La seconda sezione è quella dei giochi scientifici legati all’elettromagnetismo e al suono e l’ultima è quella dei personaggi moderni, cantanti e attori.
Per assurdo, la parte dove ci divertiamo di più è quella del piccolo museo della scienza, dove di statue di cera non ce n’è neanche una. Quando usciamo il tempo non è migliorato e dobbiamo trovare presto una nuova meta al coperto. Ci dirigiamo allora verso il St. Stephen’s Green Centre, non il parco quindi, ma il centro commerciale, che è una piacevole struttura di ferro e cristallo, quasi un’enorme serra. Sotto una pioggia battente facciamo una brevissima tappa da Molly Malone, la statua della venditrice ambulante di fine Settecento che i Dublinesi hanno soprannominato la sgualdrinetta con la carretta, probabilmente per la sua indole particolarmente disponibile.
Per sfuggire ai nuvoloni sempre più carichi, ci rintaniamo nel centro commerciale dove notiamo che la moda irlandese proprio non fa al caso nostro. Scarpe solo con plateau e tacco 15 che saranno anche bellissime ma la comodità è quasi un’utopia, vestiti cortissimi per taglie extralarge e stampe che noi definiremmo anni Ottanta.
Dopo esserci rifocillati, usciamo e ci accoglie un tiepido sole. Approfittiamo allora per fare un breve giretto del parco St. Stephen’s Green e poi decidiamo di finire la nostra serata con una pinta di birra all’Hard Rock Cafè.
Tornando in ostello per riposarci un pochino, passeggiamo tra le casette a schiera, tutte uguali ma con i portoni colorati diversamente, forse per distinguere casa propria quando si ritorna dopo aver fatto il pieno di Guinnes. Durante il nostro giro abbiamo anche potuto studiare le tattiche di attraversamento della strada a Dublino. Gli indigeni riescono a capire quando attraversare la strada o meno con il semaforo rosso. In dieci giorni non abbiamo capito come siano in grado di sviluppare questo arguto senso e per non apparire alternativi (o sprovveduti) ci uniamo al branco e passiamo anche noi quando il primo irlandese si muove.
La sera usciamo a mangiare qualcosa in un pub, sarà l’inizio di una lunga serie di zuppette del giorno che in Irlanda sanno fare divinamente. Dopo mangiato e doverosamente annaffiato con le corpose birre rosse locali, andiamo a vedere un veliero illuminato lungo il fiume Leffey ed alcune statue in commemorazione delle vittime della carestia del XIX secolo, a causa della quale moltissime famiglie morirono ed altrettante furono costrette all’emigrazione. Infine ammiriamo il ponte a forma di arpa, simbolo della città.
Una curiosità che abbiamo imparato alla fabbrica della Guinnes è che quest’azienda ha brevettato il marchio dell’arpa prima che lo facesse il comune di Dublino così quando passarono per vie legali per il riconoscimento del diritto ad utilizzare il logo, i birrai vinsero e la città fu costretta a girare la propria arpa verso destra, lasciando alla Guinnes il privilegio di averla voltata dalla parte opposta.

4° giorno - dopo una colazione irlandese a base di uova, bacon, fagioli, sanguinaccio, burro e wurstel, andiamo al Lepricaun Museum, incentrato sull’ipotetica esistenza dei folletti alla fine dell’arcobaleno. Il museo è molto moderno e gestito da ragazze molto simpatiche. Il tour è ovviamente in inglese, ma riusciamo a seguire quasi tutto tranne la parte in cui ci sediamo tutti per terra e lei ci racconta delle fiabe irlandesi, le luci soffuse per creare atmosfera non aiutano la nostra concentrazione.
Una delle sale è stata creata per far si che il visitatore si senta come un piccolo lepricauno e così è arredata con grosse sedie, un tavolo alto fino al soffitto, una poltrona sulla quale per salirci è necessario arrampicarsi, etc. Tutto molto carino.
Continuiamo la visita della città fino a sbucare nella piazza dell’obelisco, che non è altro che un altissimo pennacchione di ferro che buca le nuvole. Proprio di fronte c’è una grande libreria nella quale ci addentriamo alla ricerca di un libro da portarci a casa per proseguire il nostro studio della lingua inglese. Non saprei se solo in quel negozio o in tutte le librerie, i libri costano davvero poco e così con 5 € mi prendo “Il piccolo principe”, una raccolta di fiabe irlandesi e un libro sugli orchi con una copertina fantastica!
All’ora di cena nessuno ha fame, ma io mi lascio tentare dalla solita zuppetta del giorno, sempre ottima. Usciamo poi alla ricerca del luogo migliore per il capodanno. Il gregge di persone in giro ci conduce fino a Temple Bar, che è pieno di giovani e paffute irlandesi strizzate in microscopici vestitini che cavalcano le strade a bordo dei loro plateau. Non fa tantissimo freddo, ma l’aria è tagliente e non le invidio. Nella via ci sono moltissime feste private e Temple Bar, neanche a dirlo, è stracolmo tanto che non riusciamo nemmeno ad entrare.
Allo scoccare della mezzanotte ci godiamo l’esilarante scena di un ragazzo che per festeggiare scuote una bottiglia di spumante controvento ritrovandosi in breve bagnato fradicio.
Finiamo la serata all’Hard Rock che sembra stranamente vuoto. Verso le 3 chiude anche questo e noi decidiamo di tornare ai nostri letti perché domani ci attende la tanto agognata prova di guida.

5° giorno - l’anno nuovo inizia con la nostra più grande avventura irlandese: la guida “al contrario”.
Verso le 11 siamo all’aeroporto presso l’ufficio dell’Avis, compagnia con la quale abbiamo noleggiato le nostre due Opel Corsa. Brevemente sbrighiamo le pratiche e lasciamo gli estremi della nostra carta di credito. Saliamo in macchina e ancora non mi è salito il panico che mi aspettavo. Faccio qualche giro del parcheggio per prendere un po’ confidenza con il mezzo e poi mi immergo nel traffico dell’aeroporto.
L’auto ci è costata 80 €, ovviamente escluso il carburante, ma per tutto il giro abbiamo fatto circa due pieni.
Certo, per i primi chilometri ho avuto questa sensazione di paralisi della parte sinistra che di solito uso per cambiare e adesso doveva solo tenere il volante, però devo dire che guido perfettamente. Sì qualche marcia l’ho sbagliata e prendere l’uscita, dalla parte giusta dello spartitraffico, mentre sono concentrata a fare una rotonda in senso orario non è stato proprio immediato, ma comunque oltre le mie più rosee aspettative.

 

KILKENNY
La prima tappa è stata Kilkenny. Non avevamo navigatore e i cartelli in gaelico un po’ ci hanno spiazzato, ma usciti dal raccordo anulare di Dublino (che è a pagamento, 3 €, e si deve pagare in qualsiasi autogrill sulla strada pena multa recapitata direttamente in Italia) il paesaggio si tinge di verde e le case talmente rare che è difficile non trovare l’unico paese un po’ grande nella giusta direzione.
L’ostello di oggi è una vecchia casa tipicamente anglosassone con la scala centrale in legno e stretti corridoi. Il costo per la notte è di 12 €. Ad accoglierci non c’è nessuno, ma poi spunta da una porta un giovane irlandese con una bottiglia di whiskey in mano che comincia a parlare un masticatissimo inglese spiegandoci che ha avuto una serata pesante per capodanno e che deve ancora riprendersi.
Lasciato i bagagli in camera, approfittiamo del cielo azzurrissimo e ci dirigiamo verso il centro del paese. Kilkenny è ad altissima concentrazione di chiese e cominciamo il nostro tour religioso. La prima ha un altissimo campanile spoglio, è molto bella esternamente ma non si può entrare dentro. Tutt’intorno poi c’è un cimitero gotico, come quelli che si vedono nei film ambientati nella campagna inglese.
Leggiamo un po’ la guida turistica per vedere quale sarà la nostra prossima tappa e nel giro di pochissimi istanti il cielo si copre e inizia a piovere abbondantemente. Nel paese delle chiese non potevamo fare altro che correre verso la cattedrale, sperando che fosse aperta e che potesse offrirci asilo.
Così infatti era e abbiamo potuto asciugarci un po’ ammirando la splendida architettura gotica delle sue navate.
Usciamo che c’è il sole e il primo arcobaleno del nostro viaggio. Proseguiamo verso un’altra chiesta, la vera cattedrale di Kilkenny, quella di prima era probabilmente solo una delle tante chiese, solo un po’ più grosse delle altre. La cattedrale comunque è chiusa e non si può entrare. Continuiamo il nostro pellegrinaggio, nuovamente sotto l’acqua, e arriviamo ad un’altra chiesa che esternamente avrebbe potuto avere l’età delle altre, ma internamente era molto più moderna. Bellissima e con lo stesso stile, ho faticato a capire che era nuova tutta e non solo il tetto o le vetrate. Menzione a parte la meritano proprio le vetrate, coloratissime che si riflettevano sui massicci muri della struttura, mi hanno fatto davvero un bell’effetto.
Molte altre chiese restano da vedere, ma per oggi decidiamo che è sufficiente e andiamo verso il castello, mentre, ormai quasi al tramonto, il sole esce di nuovo. Di sicuro oggi abbiamo visto la celebre Black Abbey, ma non siamo riusciti a distinguerla.
Infreddoliti e bagnati ci rifugiamo in una teeria per poi cercare un posto dove cenare. Tutto è chiuso e decidiamo che un buon piatto di spaghetti sarà la nostra cena. Arrivati in ostello troviamo il proprietario ancora attaccato alla sua bottiglia che ci prega di cucinargli qualcosa perché ha fame. Un piatto un più o in meno non ci fa la differenza e così mangiamo tutti insieme. Lui non sembra gustare la nostra cucina però, perché alla pasta aggiunge abbondanti dosi di ceddar e di bacon.

6° giorno - il mattino andiamo a vedere il castello di Kilkenny. Anziché il biglietto semplice decidiamo di fare la Heritage Card che al costo di 8 €per gli studenti e 21 per gli adulti, che ci darà accesso a molti luoghi e attrazioni d’Irlanda. La visita si effettua solo con la guida, ovviamente in inglese, ma la ragazza cerca di parlare il più piano possibile, in modo che tutti capiscano. Il castello è stato per quasi 600 anni residenza dei Butler finché nel 1969, l’ultimo erede, non decise di venderlo al popolo di Kilkenny per la cifra simbolica di 50 sterline.
La stanza più bella è il salotto inglese con la tappezzeria gialla, ma senz’altro quella più particolare è la galleria di quadri che occupa tutta l’ala a destra del castello e che ha il tetto in vetro per poter avere più luce sulle opere, ma non diretta per non rovinarle.

 

ROCK OF CASHEL
Non appena finito il tour torniamo a prendere le auto per andare alla Rock of Cashel, che dista 65 km da Kilkenny. La strada che percorriamo è bellissima e tipica dell’Irlanda. Prati verdissimi, cottage con il tetto di paglia e pecore al pascolo. La rocca è uno dei più famosi monumenti del Paese benché sia stato abbandonato del Diciottesimo Secolo, adesso è completamente in rovina, ma conserva ancora il suo fascino anche grazie al paesaggio circostante.
Proseguiamo per Cork. L’ostello nel quale abbiamo prenotato è il Sheila’s che non è per niente in centro al paese e per aggiungerlo bisogna passare in intricate stradine strette e molto in salita, il tutto coronato da una pioggia scrosciante e dal buio. L’ostello è poco segnalato e trovarlo è stata un’impresa.
Alla reception subito paghiamo la notte, 15 € senza colazione, e poi andiamo nella nostra camera, bè chiamarla camera è un complimento, un lungo corridoio con un bagnetto minuscolo. L’ostello è decisamente il peggiore che abbiamo girato. La cucina era sporchissima e le lenzuola non erano state cambiate. Io mi adatto a tutto, ma non penso che consiglierò questo ostello al mio ritorno.

7° giorno - prestissimo scappiamo dal Sheila’s e andiamo a vedere la città di Cork.

 

CORK e BLARNEY CASTLE

La prima nostra visita è alla Chiesa di Sant’Anna, che ospitano le famose Campane di Shannon che chiunque può suonare dopo una piccola offerta. È possibile comporne una o copiarla dal compendio, comunque ovviamente lo troviamo chiuso. Ci dirigiamo allora nel centro città e veniamo abbagliati dall’immagine di cappuccini italiani che promette l’insegna di un bar. Paghiamo 3 € un cappuccino, ma li merita davvero tutti. Finalmente all’estero qualcuno che sa fare un buon cappuccino. È stata la colazione migliore della vacanza.
Vaghiamo per la città senza una meta precisa e vediamo la cattedrale di San Finbarr ed il caratteristi English Market, ma il mio fidanzato ha occhi solo per il Birrificio Beamish and Crowford’s.
Appena terminato il nostro piccolo giretto della città, ci spostiamo alla volta del Blarney Castel, nella contea di Cork, ad una decina di chilometri da Cork. Il costo del biglietto è di 10-12 €. Entriamo nel parco sotto una leggera pioggerellina e, appena imbuchiamo il sentiero che porta al castello, il cielo si apre in un acquazzone. Ci rifugiamo sotto un grosso albero e mentre stiamo leggendo la guida per portarci avanti, piano piano le gocce smettono di scendere.
Ormai non mi stupisco più. Andiamo diretti verso la villa, che è rimasta di proprietà privata, mentre il castello è aperto al pubblico. Nei pochi minuti di cammino che ci separano dalla villa, il cielo si sgombra di nuvole completamente e il sole splende. Osserviamo il maniero specchiarsi nelle pozzanghere, ormai assolate. La tenuta è curatissima, perfetta.
Finalmente andiamo al castello passando per il giardino delle pozioni. L’attività immancabile per i turisti che accorrono al Blarney è baciare una pietra posta dopo le vecchie prigioni, a testa in giù e a quasi trenta metri di altezza. Avevamo letto che la fila per questo famoso bacio poteva essere infinita, ma noi non abbiamo trovato nessuno davanti a noi. E ammetto che questo mi ha un po’ spiazzata. Leggere di ciò che avrei dovuto fare era divertente, ma farlo realmente è stata tutta un’altra cosa. Pare che la pietra sia arrivata in Irlanda dalla Terra Santa grazie ai crociati che già la ritenevano una leggenda. Il dono che il bacio della pietra può dare è quello dell’eloquenza.
Un po’ sconvolti e frastornati dall’impresa, passeggiamo per il boschetto ai piedi del castello. Leggendo la guida sembrava che ognuna delle pietre fosse il rifugio di qualche creatura magica ed ogni roccia l’altare di qualche strega. La lettura della guida è stata interessante e ci ha consigliato qualche altra piccola impresa da eseguire per guadagnarci i più disparati doni. In compagnia il percorso è stato divertente, ma in generale possiamo dire che il bosco non è altro che qualche albero e un po’ di muschio, ma venduto decisamente bene.
Sono solo le tre quando usciamo e, dopo aver assaggiato la zuppetta locale, decidiamo di dirigerci verso l’oceano, più precisamente verso Charles Fort. Questo dista circa 40 km dal Blarney, vicino alla città di Kinsale, si tratta di un fortino di modeste dimensioni, a forma di stella eretto dagli inglesi per proteggersi dagli attacchi marini di francesi e spagnoli e che ormai i verdi prati hanno inglobato. La visita, compreso lo spettacolo del tramonto nell’oceano, è stata una delle più belle di tutto il viaggio. L’ingresso non è costato grazie alla Heritage Card, ma sarebbe stato comunque di pochi euro.
La notte dormiamo a Dingle, nell’ostello Dingle Gate Hostel. Anche questa è stata un’esperienza che non dimenticheremo. L’alloggio era solo in mezzo ai boschi, noi eravamo gli unici ospiti e il proprietario dormiva in un’altra casa. Ci ha acceso il caminetto, lasciato qualche birra e poi se n’è andato. Noi siamo stati in salotto a fantasticare notti alla “Shaining” e a giocare accanto al fuoco. Fuori pioveva e le persiane sbattevano in continuazione. Certo il fatto di aver visto quel luogo solo con il buoi ha contribuito nell’immaginario collettivo, però faceva venire i brividi ad ogni rumore.
Nessuno ci ha uccisi nella notte comunque ed il mattino dopo siamo ripartiti.

8° giorno - la prima tappa di oggi è il villaggetto di Adare che con i suoi cottage con il tetto di paglia, trasuda atmosfera da tutti i pori.

 

ADARE
Delizioso, ma chiamarlo villaggio è decisamente esagerato perché non è altro che un agglomerato di casette su una via lunga qualche centinaia di metri. Un po’ più distante c’è il castello, che doveva essere molto bello ma che nella bassa stagione rimane chiuso, e poi prati per il raggio di qualche chilometro.

 

BUNRATTY CASTLE

È ancora mattina quando ci spostiamo verso il castello di Bunratty, nella contea di Clare, la nostra vera meta. Pare sia la meta irlandese più frequentata dai turisti e ci era stata consigliata da moltissime persone.
Il costo del biglietto è di 15 € e non vale la Card, si entra da un lato del parco e siccome diluvia, corriamo subito verso il castello. Si possono visitare diverse stanze liberamente, senza guida. È una costruzione normanna, squadrata e massiccia, costruita sulle sponde del Ratty.
La particolarità di questo sito è che all’interno del parco è stato ricostruito un villaggio del XIX secolo con cottage, strade, negozi, il mulino e persino lo studio dentistico. Forse non l’abbiamo visto con una bella giornata, ma mi è sembrato tutto un po’ kitch e senza dubbio non è la miglior meta del Paese.
Usciti dal parco siamo andati al Dirty Nelly lì vicino ad assaggiare la zuppa di pesce, la migliore.

 

DOOLIN
La sera siamo andati nel Rainbow Hostel a Doolin, diretto da una signora di mezz’età. Le camere erano bellissime, colorate ed accoglienti. C’era un salotto comune con una stufa a legna e un po’ di riviste.
Essendo Doolin la capitale del folk irlandese, è superfluo dire che la sera siamo andati in un pub. Ordinando il primo Irish Coffe della vacanza, abbiamo ascoltato la musica di due piccoli ometti seduti a un tavolo che, tra un sorso di Guinnes e l’altro, davano voce al loro violino e alla loro fisarmonica. Sembravano clienti qualsiasi, è stato molto caratteristico.

9° giorno - la costa ovest dell’Irlanda è famosa per le sue scogliere, chiamate Cliffs Of Moher, che scendono a strapiombo nell’oceano.

 

CLIFFS OF MOHER

Nelle giornate di vento, possiamo dire di avere avuto la fortuna di beccare la giornata giusta, il mare sale dai crepacci nella roccia e forma una serie di cascate “al contrario”, dal basso verso l’altro. Anche se all’inizio ero un po’ scettica, meritano senz’altro una visita perché il paesaggio è unico al mondo.

 

GALWAY
Dopo questa parentesi naturale, torniamo alla ricerca di una città, che sarà l’ultima che vedremo, ovvero Galway. Non è particolarmente degna di nota. Interessante il museo al quale sia accede con la Heritage Card, specialmente per la sua vista sul River Corrib (uno dei fiumi più corti d’Europa) che noi abbiamo goduto nel momento esatto del tramonto. Qualche chiesa ancora, ma soprattutto un po’ di meritato shopping.
In questa città sono moltissime le chiese moderne sullo stile gotico e si fa davvero fatica a capire dove finisce l’antico e dove inizia il moderno. È una concezione diversa dalla nostra che tendiamo ad esasperare la distanza tra ciò che viene costruito in un’epoca e ciò che viene fatto in un’altra.
La sera abbiamo cenato in un ristorante e ci siamo trovati benissimo come al solito. Prima di tornare al nostra ostello, senza loda e senza infamia, Woodquay Hostel, ci siamo fermati al pub sotto casa per una bella partita di briscola chiamata all’italiana. I parcheggi per l’auto, contrariamente al resto del Paese, qui sono carissimi, ma fortunatamente la proprietaria dell’ostello ci ha permesso di metterla nel suo parcheggio a un paio di chilometri a piedi.

10° giorno - ultimissimo sito da vedere prima di tornare a Dublino è Clonmacnoise.

 

CLONMACNOISE

Un antico sito monastico eretto sul crocevia delle più importanti strade dell’epoca, nonché sulle rive del fiume Shannon. Adesso è un insieme di piccole cappelle, chiese, campanili, torri e croci, quasi senza un ordine.
Il giro è breve e ci godiamo un po’ la vista dei prati verdi, che certamente in Italia non troveremo.
Torniamo in aeroporto con largo anticipo perché non abbiamo capito bene dove è necessario riconsegnare la vettura. Dopo un po’ di giri a vuoto, capiamo dov’è il parcheggio e posteggiamo. Gli addetti vengono a controllare l’auto e ci restituiscono la ricevuta di pagamento. Della tassa da pagare per autisti inferiori ai 25 anni non se ne parla e io tantomeno lo ricordo, così abbiamo risparmiato 90 €.
Facciamo gli ultimi acquisti al duty free, prima fra tutti una bottiglia di Jameson’s Whisky, poi saliamo sull’aereo e guardiamo dall’alto la distesa verde che stiamo lasciando.

La vacanza ci è costata poco meno di 350 € a testa compreso di volo, auto, ostelli, pasti ed innumerevoli souvenirs.

 

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